I giovani e la lettura: note controcorrente
La rivoluzione digitale ha complicato il compito dell’educatore, ma forse si tratta di una falsa impressione. Di fronte al mare informatico della rete, occorre trovare bussole efficienti, capaci di orientarci nella selva dove tutto sembra uguale.
di Eraldo Affinati
Sta cambiando il nostro modo di leggere? Io direi di sì. Soprattutto se penso ai più giovani. Allora faccio un passo indietro e mi chiedo, in via preliminare, quale sia la spinta che orienta gli esseri umani verso i libri. I grandi linguisti ce l’hanno spiegato a sufficienza: senza la dimensione verbale ogni esperienza non avrebbe senso, sarebbe soltanto un grumo emotivo impossibile da sciogliere. Quando ci esprimiamo con le parole interpelliamo il passato, chiamando a raccolta chi ci precede. La tradizione letteraria non è un blocco granitico fisso e inamovibile, ma viene continuamente sollecitata e modificata. Scrivere anche un solo verso significa far scricchiolare l’intero asse lungo il quale camminiamo; leggere produce la medesima conseguenza, allo stesso modo di quanto avviene nell’esecuzione di un brano musicale. I fori interiori delle coscienze non sono monadi chiuse: al contrario, s’intrecciano in un movimento collettivo. L’istruzione pubblica rappresenta, in tale prospettiva, una gigantesca ruota attraverso cui la civiltà avanza da una generazione all’altra. I passaggi di testimone non sono mai ininfluenti; anzi quasi sempre producono una ferita, lasciandosi dietro punti di sutura spesso visibili: Luigi Pirandello, nel suo romanzo I vecchi e i giovani, pubblicato 110 anni fa, illustrò la transizione, per noi italiani assai rilevante, fra gli ideali eroici risorgimentali e quelli meno febbrili ma più consapevoli dello Stato unitario.